
Cioè, usando un ampli a ponte, siccome si dimezza l'impedenza che vede ogni ramo, si dimezza anche il fattore di smorzamento ed aumenta la distorsione della corrente, fortemente influenzata dal carico (Fonte di ispirazione: qualche scritto di Bartolomeo Aloja..). Tuttavia, se un ampli è dimensionato molto bene, in modo adeguato, questi svantaggi si minimizzano, e diminuiscono invece tutte le distorsioni di ordine pari e migliora il rapporto s/n perchè tendono ad annullarsi le componenti di modo comune.

Tanto è vero che ci sono costruttori high end che propongono amplificazioni interamente bilanciate come configurazione standard. Ovvero, che nascono con i finali a ponte.

Chiaro che in pratica, tra i finali car, bisogna valutare conoscendo profondamente il prodotto.
E poi, ascoltare.
Per filosofia di costruzione, eventualmente, mi verrebbe da dire che si potrebbe provare con finali ottimamente dimensionati e con bassa resistenza interna dei finali. Per esempio, meglio uno Zapco d'annata che un Phoenix Gold, che è un finale molto musicale e a bassa controreazione, ma, proprio per filosofia costruttiva (per sentito dire e per qualche prova letta..), teoricamente inadatto alla configurazione "bridge".

Ad ogni modo, almeno "teoricamente", l'incremento di dinamica che ottieni pilotando le due vie separatamente, se non includi le perdite dei singoli passivi necessari nel caso specifico, in linea di massima si equivale ad una configurazione a ponte, senza le complicazioni del caso. Con il vantaggio di non trasferire le distorsioni armoniche alla via superiore.

Ma sarebbe opportuno sfruttarla filtrando in attivo, eventualmente con un crox esterno. Che sia analogico o digitale, a seconda delle proprie priorità o di quello che si ha a disposizione (ad esempio, i filtri interni eventuali, presenti su molte sorgenti di ultima e penultima generazione).
Ciao!
